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Come sappiamo, il “potere di disposizione” è quella prerogativa secondo cui i funzionari dell’Ispettorato del Lavoro sono autorizzati ad emanare un provvedimento scritto con cui si obbliga un datore di lavoro ad eliminare, entro trenta giorni nella maggioranza dei casi, una o più irregolarità riscontrate.

Con la sentenza n° 2778 del 21 marzo 2024, il Consiglio di Stato – rifacendosi all’art. 14 del D.Lgs. n° 124 del 2004 – estende tale potere di disposizione anche nei casi di violazione dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro e, in generale, in tutti i casi di irregolarità rilevate in materia di lavoro e di legislazione sociale.

Dunque, anche nei casi di violazione dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, l’Ispettorato del Lavoro può costringere un’impresa a regolarizzare le infrazioni, individuate e segnalate per iscritto, che scaturiscono dalla mancata osservazione, anche di fatto, del C.C.N.L. applicato limitatamente, però, ai diversi enunciati normativi contenuti nella “parte economica e normativa” del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, tralasciando quindi quasi tutti quelli contenuti nella “parte obbligatoria”.

Si vedano, per un ulteriore approfondimento di quanto prima riportato, la Circolare n° 5 del 2020, la Nota n° 4539 del 15 dicembre 2020 ed, in particolare, la Circolare n° 2 del 28 luglio 2020 incentrata sugli indici per la comparazione dei C.C.N.L. e la Circolare n° 9 del 10 settembre 2019 dedicata sulla fruibilità degli incentivi e contrattazione in merito alla portata dell’articolo 1, comma 1175, della Legge n° 296 del 2006, tutte emanate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Come sappiamo il 31 dicembre 2024 (per effetto dell’entrata in vigore del Decreto Mille Proroghe 2024 che ha fatto slittare la precedente scadenza fissata per il 30 aprile 2024) scadrà la nuova causale stabilita dall’articolo 24 del Decreto Lavoro la quale sancisce che, in assenza di causali appositamente disciplinate dal C.C.N.L. applicato, si potrà assumere con contratti a tempo determinato esclusivamente per i motivi sostitutivi (ad esempio, la sostituzione di una lavoratrice in maternità) oppure per una durata massima di 12 mesi tenendo conto anche tutti gli altri rapporti a termine svolti dallo stesso prestatore di lavoro per le stesse mansioni di quelle che si intende contrattualizzare.

Dunque, sarà più difficile assumere una risorsa umana con un contratto a termine in quanto si dovrà, in mancanza di previsioni contenute nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro applicato all’unità produttiva in esame, stipulare un Accordo Sindacale di Secondo Livello di natura aziendale oppure di tipo territoriale con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e/o con le rispettive Rappresentanze Sindacali Aziendali così come è stato previsto dalla nuova lettera a) del 1° comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015.

C’è da sottolineare che, purtroppo, ad oggi sono pochi i C.C.N.L. che hanno individuato specifiche causali per i contratti a termine.

Nel frattempo, chiaramente ancora per pochissimo tempo salvo una eventuale proroga, il datore di lavoro e il lavoratore possono inserire, in perfetta autonomia, nel contratto individuale di lavoro delle specifiche causali che si rifanno alle “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva” dell’impresa in questione.

Rammentiamo che è obbligatorio – ad esclusione dei contratti a termine di tipo stagionale – inserire una specifica causale nei contratti a termine nelle seguenti casistiche:
• sottoscrizione del primo contratto a termine o della somministrazione di lavoro a termine qualora la durata sia superiore ai 12 mesi;
• sottoscrizione di un ulteriore contratto a termine oppure l’avvio di una somministrazione a termine dopo i 12 mesi.

Per concludere, ricordiamo – come tutti noi sappiamo – che sottoscrivere un contratto a tempo determinato superiore ai 12 mesi senza l’inserimento di una causale implica, come sanzione, l’automatica trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro.

Riscontriamo una clamorosa assenza di provvedimenti a supporto del ceto medio produttivo e, dunque, delle imprese e dei professionisti che, nel loro insieme, compongono il tessuto produttivo della nostra Nazione.

Sappiamo perfettamente che il Governo Meloni si trova a gestire una situazione economica e finanziaria molto ma molto complessa, senza contare le problematiche afferenti all’inflazione e ai diversi conflitti militari più o meno vicini.

Ergo, noi chiediamo con forza al Presidente Meloni e a tutti gli altri Ministri del Governo Italiano, con i rispettivi partiti politici, di approvare nella prossima Legge di Bilancio uno “scossone fiscale” riservato all’intero mondo delle attività produttive che investono sul serio nella crescita, in particolare per le micro e piccole imprese e dei professionisti.

Ci teniamo a precisare al Primo Ministro Giorgia Meloni – la quale è ben cosciente di tutto questo – che noi rappresentiamo l’Italia che lavora, che produce e che paga le tasse e, pertanto, ribadiamo che senza un supporto strutturale al ceto medio mai la nostra Nazione potrà crescere e prosperare economicamente, socialmente e culturalmente.

Inoltre, chiediamo che si approvi quanto prima un’adeguata Riforma della Burocrazia e la Riforma della Giustizia, non soltanto per migliorare i rapporti tra i cittadini, tra i cittadini e lo Stato e tra le imprese e i cittadini, ma anche per rendere altamente “attraente” la nostra Nazione anche agli occhi degli investitori stranieri.

Per il resto, la Legge di Bilancio 2024 è stata improntata in maniera seria e strutturale con l’intento di salvaguardare, con tutti i limiti dovute alle scarsissime risorse disponibili, le fasce dei lavoratori dipendenti e delle famiglie meno abbienti e, tutto questo, è per noi di notevole importanza perché si difende la domanda dei beni e dei servizi e allo stesso tempo anche il versante di chi offre i beni e i servizi e, vale a dire, il mondo produttivo che noi rappresentiamo.

Concludendo, apprezziamo anche la revisione del sistema fiscale ed, in particolare, quanto è stato introdotto con il Decreto Legislativo n° 219 del 30 dicembre 2023 per migliorare lo “Statuto dei diritti del Contribuente” con l’innesto di quei Principi Costituzionali che, elevando in questa maniera il medesimo Statuto al rango della Costituzionalità, vede ad esempio l’introduzione del divieto del “ne bis in idem” utile per neutralizzare il fenomeno delle “cartelle pazze” e l’inserimento del “principio di proporzionalità” ed, infine, la possibilità di richiedere all’Amministrazione Finanziaria una consulenza giuridica mediante un apposito interpello.

In seguito alle modifiche introdotte dalla Legge n° 85 del 2023, la quale ha convertito il Decreto Lavoro e vale dire il Decreto Legge n° 48 del 2023, il Ministero del Lavoro – dietro parere dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – ha emanato pochi giorni fa la propria Circolare n° 9 che fornisce dei primi chiarimenti sulle “nuove causali”, sui “contratti acausali”, sulla moratoria dei “contratti acausali” dal 5 maggio 2023 e per un massimo di 12 mesi e sull’esclusione di alcune tipologie di lavoratori somministrati dal limite massimo stabilito per i contratti di somministrazione a tempo indeterminato e la quale, chiarisce, che resta ancora valida per le parti non incompatibili con il Decreto Lavoro in questione l’altra propria Circolare n° 17 del 31 ottobre 2018.

C’è da menzionare, come prima considerazione, che il Decreto Lavoro non ha modificato il limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e il contestuale effetto della trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato e, dunque, il limite massimo è sempre quello di 24 mesi salvo le eccezioni previste dai CCNL (ai sensi dell’art. 19, comma 2°, del D.Lgs. n. 81 del 2015) e salvo la sottoscrizione, dinanzi all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, di un ulteriore contratto a tempo determinato massimo di 12 mesi come previsto dall’art. 19, comma 3°, del D.Lgs. n. 81 del 2015.

Ancora, il Decreto Lavoro non ha modificato neppure il numero massimo di proroghe consentite (quattro nell’intervallo di 24 mesi) e neppure il regime delle interruzioni tra un contratto a tempo determinato ed un altro (meglio conosciuto come “stop and go”).

Ancora, il Decreto Lavoro in questione permette ancora l’utilizzo delle vecchie causali introdotte con l’articolo 41-bis del Decreto Legge n. 73 del 2021 (introdotto per contrastare l’emergenza sanitaria) purché resti in vigenza il CCNL applicato ed, infine, non apporta nessuna variazione legislativa per gli enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione, per le Università private, comprese le filiazioni di atenei stranieri, e per gli Enti privati di Ricerca Scientifica o Tecnologica.

Nella sostanza, il Decreto Lavoro è intervenuto sulla disciplina delle condizioni, sulle proroghe, sui rinnovi e sui limiti percentuali dei lavoratori somministrati.

In merito alla disciplina delle condizioni, al comma 1° dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015, il Decreto Lavoro ha eliminato i presupposti riguardanti alle “esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività” e alle “esigenze connesse agli incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” perché ha preferito valorizzare la contrattazione collettiva intesa come l’unica sede deputata ad individuare le diverse casistiche che consentono di apporre, ai contratti a tempo determinato, un termine superiore ai 12 mesi e comunque entro e non oltre il limite massimo dei 24 mesi.

Il Decreto Lavoro, in estrema sintesi, si differenzia dalla vecchia normativa per una diversa impostazione di fondo che riguarda il fatto che “non basta più semplicemente limitarsi ad un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente disciplina” ma è necessario declinare adeguatamente la casistica con il caso concreto che si presenta per poter continuare ad utilizzare le causali introdotte, a qualsiasi livello, dalla contrattazione collettiva.

Invece, come già riconosciuto dalla precedente legge che ora è stata sostituita dal Decreto Lavoro:

  • spetta sempre alla contrattazione collettiva di stabilire le diverse casistiche a patto che il tutto sia stabilito dai CCNL, dagli accordi sindacali territoriali o aziendali sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e/o dalle rispettive Rappresentanze Sindacali Aziendali così come è stato previsto dalla nuova lettera a) del 1° comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015;
  • sempre in base a quest’ultimo comma, e precisamente con la nuova lettera b), le parti individuali del contratto di lavoro, e vale a dire il datore di lavoro ed il prestatore di lavoro, possono decidere nuove esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva in assenza di specifiche condizioni elencate nei CCNL e sempre se queste giustificano lo sforamento del termine dei dodici mesi. Tale possibilità, però, può essere colta dalle parti individuali del contratto di lavoro fino alla data del 30 aprile 2024 in quanto ai sindacati è stato concesso un congruo periodo di tempo per poter adeguare i loro contratti con quanto è stato introdotto attraverso il Decreto Lavoro. In virtù di questa proroga concessa ai sindacati, c’è da precisare che il Decreto Lavoro ha introdotto una novità che consiste nell’azzeramento dei numeri dei contratti a tempo determinato che si possono sottoscrivere a a partire dalla data del 5 maggio 2023 e, dunque, è possibile stipulare ulteriori contratti a tempo determinato senza le causali per la durata massima di 12 mesi indipendentemente dagli eventuali contratti a termine già intercorsi prima dell’entrata in vigore del Decreto Lavoro il quale è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 4 maggio scorso;
  • sempre in base al 1° comma dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015, e precisamente con la nuova lettera b-bis), le imprese e i professionisti possono ricorrere ai contratti a tempo determinato per sostituire altri lavoratori dipendenti, ad eccezione di quelli che esercitano il diritto di sciopero.

Concludendo, il Decreto Lavoro, e precisamente con il nuovo 1° comma dell’articolo 31 del D.Lgs. n. 81 del 2015, ha introdotto novità con l’intento di superare alcune criticità riferibili ai contratti di somministrazione a tempo determinato esclusivamente per specifiche tipologie di lavoratori dipendenti tra cui, la più importante, è quella di non far computare i lavoratori somministrati assunti con un contratto di apprendistato nel parametro del limite del 20% che dev’essere sempre rispettato da ogni singolo datore di lavoro che intende avvalersi anche di lavoratori presi in prestito dalle agenzie di somministrazione.

Ogni singola impresa ed ogni singolo professionista ha la libertà di scegliere di applicare il CCNL più confacente per il proprio personale dipendente ad eccezione di tre specifiche casistiche di seguito illustrate.

Come sappiamo, il CCNL da applicare rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto, gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetta il contenuto previsto dalle norme in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa e vale a dire la Legge n. 389/1989 (che ha modificato l’articolo 1, comma 1°, del D.L. n. 338/1989) unitamente all’articolo 2, comma 25°, della Legge n. 549/1995.

Dunque, l’Ispettorato del Lavoro non può imporre un altro CCNL, tramite un provvedimento amministrativo, teso a migliorare il profilo retributivo dei lavoratori dipendenti. Si parla, infatti, della insindacabilità della scelta del datore di lavoro, che è dunque discrezionale, sia in sede amministrativa che giurisdizionale.

Tutto questo è stato ribadito dal T.A.R. della Lombardia con la Sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023 che accoglie il ricorso del datore di lavoro ispezionato.

La società cooperativa in questione, che svolge l’attività di guardia non armata e servizi affini, applicava coerentemente un CCNL specifico per i lavoratori dipendenti del comparto della vigilanza privata e dei servizi fiduciari il quale è stato sottoscritto da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.

Ebbene, l’Ispettorato del Lavoro di Como-Lecco applicava all’impresa cooperativa in questione un provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 – rifacendosi all’articolo 36 della Costituzione che sancisce una retribuzione dignitosa per i lavoratori dipendenti – tramite cui si obbligava il datore di lavoro ad adottare un diverso CCNL, precisamente uno specifico per i Multiservizi, che prevede trattamenti economici superiori con il conseguenziale obbligo di corrispondere le differenze retributive, relative agli arretrati, calcolate chiaramente in base alle tabelle del nuovo CCNL.

Al contrario degli ispettori meneghini, il T.A.R. della Lombardia con la Sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023 annulla il provvedimento di disposizione emesso dalla sede lombarda dell’Ispettorato del Lavoro accogliendo, di conseguenza, il ricorso presentato dalla società cooperativa in questione.

Nello specifico, il T.A.R. della Lombardia si rifà esplicitamente all’artico 7, comma 4°, del D.L. n. 248/2007 che è stato convertito con la Legge n. 31/2008 il quale sancisce che il trattamento economico complessivo minimo da garantire ai lavoratori è quello stabilito dal CCNL del settore comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale in quanto – oltre ad essere ritenuto come l’unica fonte idonea ad assicurare la proporzionalità e la sufficienza della retribuzione richiesta dall’articolo 36 della Costituzione – è considerato allo stesso tempo anche come l’unico parametro di riferimento esterno con cui comparare nel complesso la parte economica e la parte normativa previste dal CCNL liberamente scelto dall’impresa in maniera tale da garantire la libertà sindacale, anch’essa tutelata dalla nostra Costituzione Italiana.

Concludendo, le motivazioni del T.A.R. della Lombardia si ritengono validissime in quanto si ricollegano alle uniche casistiche che sono state sopra evidenziate e vale a dire che il CCNL da applicare rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto, gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetta il contenuto previsto dalle norme in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa e vale a dire la Legge n. 389/1989 (che ha modificato l’articolo 1, comma 1°, del D.L. n. 338/1989) unitamente all’articolo 2, comma 25°, della Legge n. 549/1995.

Nel 2010 è stata istituita dalla Assemblea delle Nazioni Unite la “Giornata Mondiale dell’Imprenditore” (World Entrepreneurs Day) a cui noi del sindacato datoriale FederPartiteIva con EB01 abbiamo preferito aggiungere la figura del Professionista, in particolare quella dei Consulenti Aziendali tra cui il Consulente del Lavoro, il Commercialista ed il Tributarista i quali rappresentano i principali Collaboratori di ogni singolo imprenditore.

Dunque, noi di FederPartiteIva con EB01 auguriamo una buona “giornata degli imprenditori e dei professionisti” a tutti!!!

È questa una ricorrenza che si festeggia il 21 agosto per celebrare chi ha intenzione di mettersi in proprio e soprattutto chi ha fondato un’impresa o uno studio professionale che ogni giorno lavora senza sosta (secondo noi non è un caso che si festeggia proprio ora che si è in vacanza) per creare benessere e occupazione.

Noi di FederPartiteIva con EB01 ci impegniamo a diffondere la cultura imprenditoriale e quella professionale per riconoscere l’elevato contributo che ogni singolo imprenditore ed ogni singolo professionista apporta al nostro Paese e alla nostra Nazione.

Come di consueto riportiamo una estrema sintesi dello studio preparato da UNIONCAMERE, i cui dati si riferiscono al 2022, il quale è incentrato sulle imprese operanti in Italia:

  • sono oltre 6 milioni, come del resto anche dieci anni fa, le imprese iscritte nel Registro delle Imprese di cui 5.129.335 sono quelle attive.

In Europa la nostra Nazione risulta essere quella con più imprese nonostante fatturino mediamente meno di quelle europee;

  • la maggioranza è composta da micro-imprese (il 60% fattura meno di 100 mila euro) che operano nei comparti del commercio (25,7% delle imprese italiane) e delle costruzioni (14,9%).

In successione, troviamo il comparto dell’agricoltura con il 12,8%, il settore manufatturiero con il 9,4%, la ristorazione assieme ai servizi di alloggio con l’8,2%, il settore immobiliare con il suo 5,4% e così discorrendo;

  • il 50,8% è composto da ditte individuali contro il 30,8% delle società di capitali;
  • il 45% delle imprese è localizzato nel Nord Italia e, precisamente, il 26% nelle regioni del Nord-Ovest e il 19% in quelle del Nord-Est.

A seguire, il 20% delle imprese è situato nel Centro Italia ed il 35% nelle regioni del Sud Italia e delle isole;

  • con oltre 954.000 imprese la regione Lombardia si attesta al primo posto seguita dalla Campania con 611.000 attività produttive, dal Lazio con 609 mila, dalla Sicilia con 479 mila e dal Veneto con 472 mila;
  • le regioni con un numero inferiore di imprese sono la Basilicata con 60 mila, il Molise con 34 mila e la Valle d’Asta con 2 mila in quanto, chiaramente, vi sono meno abitanti in quelle aree geografiche;
  • in virtù della guerra in Ucraina e dell’aumento vertiginoso dei costi dell’energia si è registrato, nel terzo trimestre del 2022, soltanto un aumento di imprese pari ad appena 13.300 unità rispetto a giugno, dato tra i più bassi degli ultimi dieci anni.

 

Il giorno 8 giugno scorso il mondo delle attività produttive (imprese e professionisti) ha festeggiato il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” meglio conosciuto come il “Tax Freedom Day”.

La presente analisi è stata riportata dall’Ufficio Studi della “CGIA di Mestre (Venezia)” che dal 1995 studia ogni anno il peso della pressione fiscale.

Cosa significa nel concreto festeggiare la “Giornata di Liberazione dalle Tasse”?

Dall’8 di giugno appena trascorso significa che tutti i contribuenti italiani, e dunque anche le imprese e i professionisti, non dovranno più lavorare per pagare tutte le imposte e tutte le tasse attinenti all’anno 2022 in quanto da questa giornata in poi si lavorerà unicamente per noi stessi.

Dunque, nei restanti 207 giorni che ci separano dal 31 dicembre, appunto partendo dalla data dell’8 giugno appena trascorso, noi contribuenti italiani lavoreremo per noi stessi.

Guardando tale dato da un’altra prospettiva, è chiaro che ogni impresa ed ogni professionista ha dovuto lavorare nei primi 158 giorni di quest’anno per finire di pagare tutte le imposte e tutte le tasse riguardanti l’anno 2022.

Soltanto la Francia ed il Belgio pagano più imposte e più tasse dell’Italia.

Andando nello specifico del report dell’Ufficio Studi della “CGIA di Mestre (Venezia)” possiamo constatare che l’anno 2022 è stato l’anno in cui il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” si è verificato più in ritardo ed, infatti, la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5%.

Invece, nel 2005 il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” è avvenuto in data 23 maggio in quanto la pressione fiscale dell’epoca si aggirava al 39%.

C’è da segnalare che la pressione fiscale del 43,5% dell’anno 2022 non è stata causato da un aumento del prelievo fiscale bensì dall’aumento dell’inflazione dovuta dall’aumento dei costi dei prodotti energetici.

Come si è giunti al calcolo della “Giornata di Liberazione dalle Tasse”?

La stima del P.I.L. nazionale di quest’anno, che è pari a 2.018.045 milioni di euro, è stata suddivisa per 365 giorni con cui si è ottenuto il dato medio giornaliero pari a 5.528,9 milioni di euro. Di seguito sono state “recuperate” le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno e sono state rapportate al P.I.L. giornaliero.

Il risultato di tale operazione ha consentito di calcolare il “Tax Freedom Day” del 2023 dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno e quindi l’8 giugno.

Sia il dato del P.I.L. nazionale e sia il dato del gettito fiscale sono stati estrapolati dal “Documento di Economia e Finanza 2023, Tabella II 2-1, Conto Economico delle Amministrazioni Pubbliche, pagina 13”.

Il Governo del Presidente Meloni, precisamente con il Consiglio dei Ministri n. 25 tenutosi il 16 marzo scorso a Palazzo Chigi, ha approvato la Delega sulla Riforma Fiscale.

Si tratta di una riforma senza precedenti nella nostra Nazione e nel nostro Paese ed, infatti, impatterà positivamente su famiglie e imprese in quanto si stanno gettando le basi per costruire un rapporto di fiducia con il Fisco Italiano e perché si incentiveranno gli investimenti da parte dei soggetti appartenenti al mondo produttivo e, dunque, crescerà l’occupazione.

<<Finalmente, prima di ogni aspetto, si procederà sulla revisione dello Statuto del Contribuente>> e già da questo singolo aspetto, che ai più può sembrare banale oppure marginale, il nostro sindacato datoriale può confermare che il Governo Italiano sta andando nella direzione giusta perché la Riforma Fiscale, così come improntata, provocherà uno shock notevolmente positivo il quale risulta necessario per far crescere il PIL e, quindi, il benessere economico di ogni famiglia e di ogni impresa e professionista.

Importante sarà, dunque, l’obbligo per l’Ente Pubblico impositore di fornire una motivazione adeguata e, contestualmente, le prove su cui si fonda la pretesa. Un’ulteriore novità sarà la possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di accesso agli atti per permettere la migliore difesa nel contradditorio.

C’è poi da sottolineare che la Riforma Fiscale sarà attuata mediante uno o più Decreti Legislativi e che prevederà anche la raccolta di tutte le norme sui tributi le quale saranno suddivise in testi unici per ogni tipologia di imposta e tassa.

Nel dettaglio ecco i punti salienti della Riforma Fiscale:

  • in merito all’IRPEF prevederà un’unica fascia di esenzione fiscale e di un medesimo onere impositivo a prescindere dalle diverse categorie di reddito prodotto privilegiando, in particolar modo, l’equiparazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione e prevederà il riconoscimento della deducibilità, anche in misura forfettizzata, delle spese sostenute per la produzione del reddito di lavoro dipendente e assimilato;
  • in merito all’IRES gli utili d’impresa non distribuiti o comunque non destinati ad attività estranee verranno detassati se saranno garantiti gli investimenti;
  • in merito all’IVA la normativa italiana sarà quanto più aderente a quella comunitaria;
  • in merito all’IRAP si procederà alla sua estinzione e alla contestuale istituzione di una “sovraimposta IRES” che farà da compensazione.

Finalmente non saranno più configurabili come reati penali gli illeciti relativi alla indebita percezione di erogazioni pubbliche, ivi compresi quelli attinenti agli incentivi sulle assunzioni.

Ricordiamo che il Codice Penale prevede una sanzione penale della reclusione da sei mesi a tre anni qualora l’importo dell’agevolazione illecitamente goduta sia pari o superiore all’importo di euro 3.999,96 (al di sotto scatta unicamente la sanzione amministrativa a partire da euro 5.164,00 che verrà sottoposta al vaglio del Prefetto)

Dunque, vi è un sospiro di sollievo per tutte le imprese – grazie all’intervento della Sentenza del Tribunale di Treviso n° 49 del 26 gennaio 2023 – che spesso si vedono contestare a posteriori dall’INPS le applicazioni delle diverse agevolazioni inerenti le assunzioni dei lavoratori dipendenti.

Tale sentenza precisa che non vi è reato e né un illecito amministrativo ex art. 316-ter del Codice Penale (che configura addirittura la truffa nei confronti della Pubblica Amministrazione interessata) neanche qualora la contribuzione venisse in seguito recuperata in quanto si sia attestato che il datore di lavoro abbia goduto illegittimamente di un’agevolazione sulle assunzioni.

Pertanto, la contestazione formalizzata a seguito di un controllo ispettivo sul corretto utilizzo degli incentivi sulle assunzioni non necessariamente presuppone – come anche sancito dalla Sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Venezia del 5 febbraio 2020 – che vi sia un comportamento fraudolento, poiché, come ribadito dal Giudice del Tribunale di Treviso la condotta incriminabile dev’essere necessariamente di carattere doloso.

FederPartiteIva chiede un impiego massiccio per la riduzione del carico fiscale e del cuneo fiscale a vantaggio anche dei dipendenti per permettere il rilancio dei consumi.

Del totale delle risorse messe in campo dal disegno di legge della Legge di Bilancio per il 2022 soltanto 8 miliardi di euro sono destinati per l’abbassamento del prelievo fiscale. FederPartiteIva chiede alla politica di impegnarsi maggiormente su questo fronte in quanto soltanto con una forte riduzione del carico fiscale il mondo delle partite iva, ossia imprese e professionisti, potrà iniziare ad essere sul serio competitivo. Lo stesso focus va indirizzato anche per favorire l’abbattimento delle imposte ai dipendenti in maniera tale da rilanciare sul serio i consumi interni alla nostra economia. La nostra organizzazione sindacale auspica che i fondi destinati all’abbassamento delle imposte e delle tasse sia pari ad almeno 15 miliardi di euro, e vale a dire alla metà della finanziaria, in quanto è giunto oramai il momento di osare e di dare una sterzata energica alla nostra economia interna.

Riguardo alla questione del Reddito di Cittadinanza il nostro sindacato datoriale è di base favorevole a tale strumento per arginare la povertà ma, allo stesso tempo, chiede al Parlamento Italiano di introdurre dei correttivi onde evitare gli abusi da parte di cittadini che continuano a truffare le casse dell’Erario danneggiando così facendo anche chi realmente ha necessità di beneficare di tale paracadute sociale. Ancora, FederPartiteIva chiede che venga data la possibilità ai disoccupati di poter usufruire di percorsi formativi totalmente gratuiti, offerti dalle imprese del settore, che dovranno essere a totale carico dello Stato.

Bene il discorso attinente al superbonus del 110%, al bonus facciate e al bonus casa: la nostra organizzazione sindacale sposa a pieno la proroga fino al 2023 dei diversi bonus e la proroga fino al 2024 dello sconto in fattura e della cessione del credito, in quanto così facendo si permette il rilancio del comparto edile e dell’intero indotto, ma auspica che vengano introdotti dei paletti per scongiurare le frodi.

In merito allo spazio dedicato alla ricerca e all’università FederPartiteIva pretende dai nostri rappresentanti politici e dal Governo Italiano un maggiore sforzo al di fuori dell’aumento della dotazione del Fondo di Finanziamento Ordinario per le Università e del Fondo Italiano per la Scienza.

Leggendo la parte dedicata al lavoro e alla previdenza sociale si approva la riforma degli ammortizzatori sociali la quale è orientata nella direzione della semplificazione e della protezione dei dipendenti delle micro e piccole imprese (apprendisti e lavoratori a domicilio) e delle altre tipologie di datori di lavoro non imprenditori (ad esempio il Terzo Settore). Per quanto concerne, invece, la misura “Opzione Donna” la finanziaria prevede la proroga senza innalzare i requisiti a 60 anni come previsto nella prima bozza e, pertanto, per le dipendenti è necessario raggiungere i 58 anni e per le autonome i 59 anni.

Per concludere si riportano di seguito le altre misure destinate alle attività produttive:

  • rifinanziamento con 3 miliardi di euro del “Fondo di Garanzia” per le PMI;
  • 900 milioni di euro per la “Nuova Sabatini”;
  • crediti d’imposta “Transizione 4.0” fino al 2025;
  • rifinanziamento del “Fondo 394” gestito da SIMEST a sostegno delle strategie aziendali di internalizzazione delle imprese sostenuto anche con i fondi provenienti dal PNRR.