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Riscontriamo una clamorosa assenza di provvedimenti a supporto del ceto medio produttivo e, dunque, delle imprese e dei professionisti che, nel loro insieme, compongono il tessuto produttivo della nostra Nazione.

Sappiamo perfettamente che il Governo Meloni si trova a gestire una situazione economica e finanziaria molto ma molto complessa, senza contare le problematiche afferenti all’inflazione e ai diversi conflitti militari più o meno vicini.

Ergo, noi chiediamo con forza al Presidente Meloni e a tutti gli altri Ministri del Governo Italiano, con i rispettivi partiti politici, di approvare nella prossima Legge di Bilancio uno “scossone fiscale” riservato all’intero mondo delle attività produttive che investono sul serio nella crescita, in particolare per le micro e piccole imprese e dei professionisti.

Ci teniamo a precisare al Primo Ministro Giorgia Meloni – la quale è ben cosciente di tutto questo – che noi rappresentiamo l’Italia che lavora, che produce e che paga le tasse e, pertanto, ribadiamo che senza un supporto strutturale al ceto medio mai la nostra Nazione potrà crescere e prosperare economicamente, socialmente e culturalmente.

Inoltre, chiediamo che si approvi quanto prima un’adeguata Riforma della Burocrazia e la Riforma della Giustizia, non soltanto per migliorare i rapporti tra i cittadini, tra i cittadini e lo Stato e tra le imprese e i cittadini, ma anche per rendere altamente “attraente” la nostra Nazione anche agli occhi degli investitori stranieri.

Per il resto, la Legge di Bilancio 2024 è stata improntata in maniera seria e strutturale con l’intento di salvaguardare, con tutti i limiti dovute alle scarsissime risorse disponibili, le fasce dei lavoratori dipendenti e delle famiglie meno abbienti e, tutto questo, è per noi di notevole importanza perché si difende la domanda dei beni e dei servizi e allo stesso tempo anche il versante di chi offre i beni e i servizi e, vale a dire, il mondo produttivo che noi rappresentiamo.

Concludendo, apprezziamo anche la revisione del sistema fiscale ed, in particolare, quanto è stato introdotto con il Decreto Legislativo n° 219 del 30 dicembre 2023 per migliorare lo “Statuto dei diritti del Contribuente” con l’innesto di quei Principi Costituzionali che, elevando in questa maniera il medesimo Statuto al rango della Costituzionalità, vede ad esempio l’introduzione del divieto del “ne bis in idem” utile per neutralizzare il fenomeno delle “cartelle pazze” e l’inserimento del “principio di proporzionalità” ed, infine, la possibilità di richiedere all’Amministrazione Finanziaria una consulenza giuridica mediante un apposito interpello.

In seguito alle modifiche introdotte dalla Legge n° 85 del 2023, la quale ha convertito il Decreto Lavoro e vale dire il Decreto Legge n° 48 del 2023, il Ministero del Lavoro – dietro parere dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – ha emanato pochi giorni fa la propria Circolare n° 9 che fornisce dei primi chiarimenti sulle “nuove causali”, sui “contratti acausali”, sulla moratoria dei “contratti acausali” dal 5 maggio 2023 e per un massimo di 12 mesi e sull’esclusione di alcune tipologie di lavoratori somministrati dal limite massimo stabilito per i contratti di somministrazione a tempo indeterminato e la quale, chiarisce, che resta ancora valida per le parti non incompatibili con il Decreto Lavoro in questione l’altra propria Circolare n° 17 del 31 ottobre 2018.

C’è da menzionare, come prima considerazione, che il Decreto Lavoro non ha modificato il limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e il contestuale effetto della trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato e, dunque, il limite massimo è sempre quello di 24 mesi salvo le eccezioni previste dai CCNL (ai sensi dell’art. 19, comma 2°, del D.Lgs. n. 81 del 2015) e salvo la sottoscrizione, dinanzi all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, di un ulteriore contratto a tempo determinato massimo di 12 mesi come previsto dall’art. 19, comma 3°, del D.Lgs. n. 81 del 2015.

Ancora, il Decreto Lavoro non ha modificato neppure il numero massimo di proroghe consentite (quattro nell’intervallo di 24 mesi) e neppure il regime delle interruzioni tra un contratto a tempo determinato ed un altro (meglio conosciuto come “stop and go”).

Ancora, il Decreto Lavoro in questione permette ancora l’utilizzo delle vecchie causali introdotte con l’articolo 41-bis del Decreto Legge n. 73 del 2021 (introdotto per contrastare l’emergenza sanitaria) purché resti in vigenza il CCNL applicato ed, infine, non apporta nessuna variazione legislativa per gli enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione, per le Università private, comprese le filiazioni di atenei stranieri, e per gli Enti privati di Ricerca Scientifica o Tecnologica.

Nella sostanza, il Decreto Lavoro è intervenuto sulla disciplina delle condizioni, sulle proroghe, sui rinnovi e sui limiti percentuali dei lavoratori somministrati.

In merito alla disciplina delle condizioni, al comma 1° dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015, il Decreto Lavoro ha eliminato i presupposti riguardanti alle “esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività” e alle “esigenze connesse agli incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” perché ha preferito valorizzare la contrattazione collettiva intesa come l’unica sede deputata ad individuare le diverse casistiche che consentono di apporre, ai contratti a tempo determinato, un termine superiore ai 12 mesi e comunque entro e non oltre il limite massimo dei 24 mesi.

Il Decreto Lavoro, in estrema sintesi, si differenzia dalla vecchia normativa per una diversa impostazione di fondo che riguarda il fatto che “non basta più semplicemente limitarsi ad un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente disciplina” ma è necessario declinare adeguatamente la casistica con il caso concreto che si presenta per poter continuare ad utilizzare le causali introdotte, a qualsiasi livello, dalla contrattazione collettiva.

Invece, come già riconosciuto dalla precedente legge che ora è stata sostituita dal Decreto Lavoro:

  • spetta sempre alla contrattazione collettiva di stabilire le diverse casistiche a patto che il tutto sia stabilito dai CCNL, dagli accordi sindacali territoriali o aziendali sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e/o dalle rispettive Rappresentanze Sindacali Aziendali così come è stato previsto dalla nuova lettera a) del 1° comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015;
  • sempre in base a quest’ultimo comma, e precisamente con la nuova lettera b), le parti individuali del contratto di lavoro, e vale a dire il datore di lavoro ed il prestatore di lavoro, possono decidere nuove esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva in assenza di specifiche condizioni elencate nei CCNL e sempre se queste giustificano lo sforamento del termine dei dodici mesi. Tale possibilità, però, può essere colta dalle parti individuali del contratto di lavoro fino alla data del 30 aprile 2024 in quanto ai sindacati è stato concesso un congruo periodo di tempo per poter adeguare i loro contratti con quanto è stato introdotto attraverso il Decreto Lavoro. In virtù di questa proroga concessa ai sindacati, c’è da precisare che il Decreto Lavoro ha introdotto una novità che consiste nell’azzeramento dei numeri dei contratti a tempo determinato che si possono sottoscrivere a a partire dalla data del 5 maggio 2023 e, dunque, è possibile stipulare ulteriori contratti a tempo determinato senza le causali per la durata massima di 12 mesi indipendentemente dagli eventuali contratti a termine già intercorsi prima dell’entrata in vigore del Decreto Lavoro il quale è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 4 maggio scorso;
  • sempre in base al 1° comma dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015, e precisamente con la nuova lettera b-bis), le imprese e i professionisti possono ricorrere ai contratti a tempo determinato per sostituire altri lavoratori dipendenti, ad eccezione di quelli che esercitano il diritto di sciopero.

Concludendo, il Decreto Lavoro, e precisamente con il nuovo 1° comma dell’articolo 31 del D.Lgs. n. 81 del 2015, ha introdotto novità con l’intento di superare alcune criticità riferibili ai contratti di somministrazione a tempo determinato esclusivamente per specifiche tipologie di lavoratori dipendenti tra cui, la più importante, è quella di non far computare i lavoratori somministrati assunti con un contratto di apprendistato nel parametro del limite del 20% che dev’essere sempre rispettato da ogni singolo datore di lavoro che intende avvalersi anche di lavoratori presi in prestito dalle agenzie di somministrazione.

Ogni singola impresa ed ogni singolo professionista ha la libertà di scegliere di applicare il CCNL più confacente per il proprio personale dipendente ad eccezione di tre specifiche casistiche di seguito illustrate.

Come sappiamo, il CCNL da applicare rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto, gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetta il contenuto previsto dalle norme in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa e vale a dire la Legge n. 389/1989 (che ha modificato l’articolo 1, comma 1°, del D.L. n. 338/1989) unitamente all’articolo 2, comma 25°, della Legge n. 549/1995.

Dunque, l’Ispettorato del Lavoro non può imporre un altro CCNL, tramite un provvedimento amministrativo, teso a migliorare il profilo retributivo dei lavoratori dipendenti. Si parla, infatti, della insindacabilità della scelta del datore di lavoro, che è dunque discrezionale, sia in sede amministrativa che giurisdizionale.

Tutto questo è stato ribadito dal T.A.R. della Lombardia con la Sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023 che accoglie il ricorso del datore di lavoro ispezionato.

La società cooperativa in questione, che svolge l’attività di guardia non armata e servizi affini, applicava coerentemente un CCNL specifico per i lavoratori dipendenti del comparto della vigilanza privata e dei servizi fiduciari il quale è stato sottoscritto da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.

Ebbene, l’Ispettorato del Lavoro di Como-Lecco applicava all’impresa cooperativa in questione un provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 – rifacendosi all’articolo 36 della Costituzione che sancisce una retribuzione dignitosa per i lavoratori dipendenti – tramite cui si obbligava il datore di lavoro ad adottare un diverso CCNL, precisamente uno specifico per i Multiservizi, che prevede trattamenti economici superiori con il conseguenziale obbligo di corrispondere le differenze retributive, relative agli arretrati, calcolate chiaramente in base alle tabelle del nuovo CCNL.

Al contrario degli ispettori meneghini, il T.A.R. della Lombardia con la Sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023 annulla il provvedimento di disposizione emesso dalla sede lombarda dell’Ispettorato del Lavoro accogliendo, di conseguenza, il ricorso presentato dalla società cooperativa in questione.

Nello specifico, il T.A.R. della Lombardia si rifà esplicitamente all’artico 7, comma 4°, del D.L. n. 248/2007 che è stato convertito con la Legge n. 31/2008 il quale sancisce che il trattamento economico complessivo minimo da garantire ai lavoratori è quello stabilito dal CCNL del settore comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale in quanto – oltre ad essere ritenuto come l’unica fonte idonea ad assicurare la proporzionalità e la sufficienza della retribuzione richiesta dall’articolo 36 della Costituzione – è considerato allo stesso tempo anche come l’unico parametro di riferimento esterno con cui comparare nel complesso la parte economica e la parte normativa previste dal CCNL liberamente scelto dall’impresa in maniera tale da garantire la libertà sindacale, anch’essa tutelata dalla nostra Costituzione Italiana.

Concludendo, le motivazioni del T.A.R. della Lombardia si ritengono validissime in quanto si ricollegano alle uniche casistiche che sono state sopra evidenziate e vale a dire che il CCNL da applicare rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto, gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetta il contenuto previsto dalle norme in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa e vale a dire la Legge n. 389/1989 (che ha modificato l’articolo 1, comma 1°, del D.L. n. 338/1989) unitamente all’articolo 2, comma 25°, della Legge n. 549/1995.

Il sindacato datoriale FederPartiteIva, con EB01 Ente Bilaterale e Organismo Paritetico – Altri Enti e Fondi, augura buone vacanze alle imprese e ai professionisti aderenti nonché a tutti i propri delegati territoriali.

Gli uffici di FederPartiteIva resteranno chiusi per ferie dal 1° agosto fino al 31 dello stesso mese.

Il giorno 8 giugno scorso il mondo delle attività produttive (imprese e professionisti) ha festeggiato il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” meglio conosciuto come il “Tax Freedom Day”.

La presente analisi è stata riportata dall’Ufficio Studi della “CGIA di Mestre (Venezia)” che dal 1995 studia ogni anno il peso della pressione fiscale.

Cosa significa nel concreto festeggiare la “Giornata di Liberazione dalle Tasse”?

Dall’8 di giugno appena trascorso significa che tutti i contribuenti italiani, e dunque anche le imprese e i professionisti, non dovranno più lavorare per pagare tutte le imposte e tutte le tasse attinenti all’anno 2022 in quanto da questa giornata in poi si lavorerà unicamente per noi stessi.

Dunque, nei restanti 207 giorni che ci separano dal 31 dicembre, appunto partendo dalla data dell’8 giugno appena trascorso, noi contribuenti italiani lavoreremo per noi stessi.

Guardando tale dato da un’altra prospettiva, è chiaro che ogni impresa ed ogni professionista ha dovuto lavorare nei primi 158 giorni di quest’anno per finire di pagare tutte le imposte e tutte le tasse riguardanti l’anno 2022.

Soltanto la Francia ed il Belgio pagano più imposte e più tasse dell’Italia.

Andando nello specifico del report dell’Ufficio Studi della “CGIA di Mestre (Venezia)” possiamo constatare che l’anno 2022 è stato l’anno in cui il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” si è verificato più in ritardo ed, infatti, la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5%.

Invece, nel 2005 il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” è avvenuto in data 23 maggio in quanto la pressione fiscale dell’epoca si aggirava al 39%.

C’è da segnalare che la pressione fiscale del 43,5% dell’anno 2022 non è stata causato da un aumento del prelievo fiscale bensì dall’aumento dell’inflazione dovuta dall’aumento dei costi dei prodotti energetici.

Come si è giunti al calcolo della “Giornata di Liberazione dalle Tasse”?

La stima del P.I.L. nazionale di quest’anno, che è pari a 2.018.045 milioni di euro, è stata suddivisa per 365 giorni con cui si è ottenuto il dato medio giornaliero pari a 5.528,9 milioni di euro. Di seguito sono state “recuperate” le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno e sono state rapportate al P.I.L. giornaliero.

Il risultato di tale operazione ha consentito di calcolare il “Tax Freedom Day” del 2023 dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno e quindi l’8 giugno.

Sia il dato del P.I.L. nazionale e sia il dato del gettito fiscale sono stati estrapolati dal “Documento di Economia e Finanza 2023, Tabella II 2-1, Conto Economico delle Amministrazioni Pubbliche, pagina 13”.

Il Governo del Presidente Meloni, precisamente con il Consiglio dei Ministri n. 25 tenutosi il 16 marzo scorso a Palazzo Chigi, ha approvato la Delega sulla Riforma Fiscale.

Si tratta di una riforma senza precedenti nella nostra Nazione e nel nostro Paese ed, infatti, impatterà positivamente su famiglie e imprese in quanto si stanno gettando le basi per costruire un rapporto di fiducia con il Fisco Italiano e perché si incentiveranno gli investimenti da parte dei soggetti appartenenti al mondo produttivo e, dunque, crescerà l’occupazione.

<<Finalmente, prima di ogni aspetto, si procederà sulla revisione dello Statuto del Contribuente>> e già da questo singolo aspetto, che ai più può sembrare banale oppure marginale, il nostro sindacato datoriale può confermare che il Governo Italiano sta andando nella direzione giusta perché la Riforma Fiscale, così come improntata, provocherà uno shock notevolmente positivo il quale risulta necessario per far crescere il PIL e, quindi, il benessere economico di ogni famiglia e di ogni impresa e professionista.

Importante sarà, dunque, l’obbligo per l’Ente Pubblico impositore di fornire una motivazione adeguata e, contestualmente, le prove su cui si fonda la pretesa. Un’ulteriore novità sarà la possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di accesso agli atti per permettere la migliore difesa nel contradditorio.

C’è poi da sottolineare che la Riforma Fiscale sarà attuata mediante uno o più Decreti Legislativi e che prevederà anche la raccolta di tutte le norme sui tributi le quale saranno suddivise in testi unici per ogni tipologia di imposta e tassa.

Nel dettaglio ecco i punti salienti della Riforma Fiscale:

  • in merito all’IRPEF prevederà un’unica fascia di esenzione fiscale e di un medesimo onere impositivo a prescindere dalle diverse categorie di reddito prodotto privilegiando, in particolar modo, l’equiparazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione e prevederà il riconoscimento della deducibilità, anche in misura forfettizzata, delle spese sostenute per la produzione del reddito di lavoro dipendente e assimilato;
  • in merito all’IRES gli utili d’impresa non distribuiti o comunque non destinati ad attività estranee verranno detassati se saranno garantiti gli investimenti;
  • in merito all’IVA la normativa italiana sarà quanto più aderente a quella comunitaria;
  • in merito all’IRAP si procederà alla sua estinzione e alla contestuale istituzione di una “sovraimposta IRES” che farà da compensazione.

Finalmente non saranno più configurabili come reati penali gli illeciti relativi alla indebita percezione di erogazioni pubbliche, ivi compresi quelli attinenti agli incentivi sulle assunzioni.

Ricordiamo che il Codice Penale prevede una sanzione penale della reclusione da sei mesi a tre anni qualora l’importo dell’agevolazione illecitamente goduta sia pari o superiore all’importo di euro 3.999,96 (al di sotto scatta unicamente la sanzione amministrativa a partire da euro 5.164,00 che verrà sottoposta al vaglio del Prefetto)

Dunque, vi è un sospiro di sollievo per tutte le imprese – grazie all’intervento della Sentenza del Tribunale di Treviso n° 49 del 26 gennaio 2023 – che spesso si vedono contestare a posteriori dall’INPS le applicazioni delle diverse agevolazioni inerenti le assunzioni dei lavoratori dipendenti.

Tale sentenza precisa che non vi è reato e né un illecito amministrativo ex art. 316-ter del Codice Penale (che configura addirittura la truffa nei confronti della Pubblica Amministrazione interessata) neanche qualora la contribuzione venisse in seguito recuperata in quanto si sia attestato che il datore di lavoro abbia goduto illegittimamente di un’agevolazione sulle assunzioni.

Pertanto, la contestazione formalizzata a seguito di un controllo ispettivo sul corretto utilizzo degli incentivi sulle assunzioni non necessariamente presuppone – come anche sancito dalla Sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Venezia del 5 febbraio 2020 – che vi sia un comportamento fraudolento, poiché, come ribadito dal Giudice del Tribunale di Treviso la condotta incriminabile dev’essere necessariamente di carattere doloso.

FederPartiteIva ci tiene a precisare, innanzitutto, che condivide a pieno la variazione della denominazione del vecchio Ministero dell’Industria da “Ministero dello Sviluppo Economico” in “Ministero delle Imprese e del Made in Italy” voluta dal Governo del Presidente Meloni.

E’ un indizio questo che fa ben sperare tutti noi del mondo produttivo in quanto, come tutti gli Italiani sanno, bisogna prestare cura e attenzione alle imprese e ai professionisti affinché si assista alla crescita di nuovi posti di lavoro e, dunque, all’aumento del benessere economico e morale tra tutti i cittadini della nostra Nazione e del nostro Paese.

Tra le diverse novità contenute nella Legge di Bilancio del 2023 il nostro sindacato datoriale ne menziona una in particolare e vale a dire l’innalzamento dai 65 mila euro agli 85 mila euro della FLAT TAX destinata ai professionisti.

Tale provvedimento di natura fiscale è un ottimo segnale dato dal Governo del Presidente Meloni.

Ma ricorda di intervenire significativamente, non appena si riusciranno a reperire le adeguate risorse, sul cuneo fiscale e contributivo per permettere alle imprese e ai professionisti di poter assumere nuove persone che in questo frangente soffrono perché disoccupate o perché impiegati come precari.

Soltanto con l’abbattimento del cuneo si potranno rilanciare i consumi da parte delle famiglie e gli investimenti da parte delle imprese.

Tra le altre principali vicende su cui intervenire FederPartiteIva ricorda le seguenti:

  • allungamento dell’apprendistato fino ai 40 anni di età;
  • una più incisiva de-tassazione sui premi aziendali e sugli investimenti degli utili;
  • ulteriore intervento sulle pensioni per agevolare l’uscita dei lavoratori oramai anziani oppure di quelli che svolgono da tempo lavori usuranti in maniera tale da rendere ancora più veloce l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro;
  • abrogazione del decreto trasparenza sulle assunzioni il quale sta ancora creando molta confusione tra gli addetti ai lavori;
  • de-fiscalizzazione totale dei costi sostenuti per adeguarsi alla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
  • miglioramento della formazione professionalizzante (sistema duale) e promozione degli istituti Tecnici Superiori e degli Enti di Ricerca;
  • abolizione dell’onere della “prova fiscale” e riforma del contenzioso tributario;
  • costituzionalizzazione dello “statuto del contribuente”;
  • revisione del nuovo “Codice della Crisi d’impresa”.

Andando nello specifico delle novità introdotte dalla recente Legge di Bilancio del 2023 il nostro sindacato datoriale segnala le altre disposizioni normative, degne di nota, attinenti al mondo delle imprese e dei professionisti le quali sono le seguenti:

  • crediti d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e di gas naturale ed, in particolare, per le spese in questione sostenute dalle imprese agricole e da quelle della pesca;
  • flat tax incrementale con cui viene istituita un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, pari al 15%, da applicare sul reddito incrementale d’impresa o di lavoro autonomo maturato nel 2023 rispetto al maggiore del triennio precedente;
  • innalzamento dei limiti per l’utilizzo, da parte delle imprese, del regime di contabilità semplificata;
  • agevolazione dell’estromissione dell’immobile strumentale dalla sfera dell’impresa a quella personale;
  • incremento al 6% dell’aliquota di ammortamento dei fabbricati strumentali utilizzati dalle imprese che commercializzano beni al dettaglio;
  • aumento della soglia per i pagamenti in contanti che saranno permessi entro il limite di 4.999,99;
  • aumento da 5 mila euro ad 8 mila euro il limite di spesa detraibile del bonus mobili nella misura del 50%;
  • proroga del credito d’imposta per gli investimenti in beni materiali 4.0.

La cessione d’azienda dev’essere sempre concertata con i sindacati dei lavoratori dipendenti, anche per quanto concerne il ruolo dell’impresa concessionaria che ha l’obbligo, pertanto, di illustrati i propri obiettivi operativi e strategici almeno un mese prima che i progetti siano approvati in maniera definitiva.

C’è da precisare che tale condotta del concessionario si configura come “antisindacale” in quanto non garantisce, assieme all’impresa cedente, il confronto con i sindacati dei dipendenti almeno venticinque giorni prima dell’operazione della cessione d’azienda come previsto dalla procedura informativa prevista dall’art. 47 della Legge 428 del 1990.

E’ quanto stabilito dalla Sentenza n° 28838/2022 della Sezione Lavoro della Cassazione che condanna così l’impresa cessionaria, ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, la quale dunque non può ritenersi “terza” rispetto al rapporto tra l’impresa cedente e i lavoratori.

La vicenda processuale – oggetto della Sentenza della Cassazione prima menzionata – ha visto una banca rilevare un altro istituto bancario il quale versava nello stato della liquidazione coatta amministrativa anche se la cessione d’azienda viene tenuta nascosta, in un primo momento, ai sindacati che si trovano nella situazione iniziale di firmare un verbale di accordo in cui vengono previsti pesanti tagli, come previsto dal CCNL adottato dall’impresa cedente, nei casi di ristrutturazione con esubero di personale.

In tale frangente ai sindacati dei lavoratori dipendenti viene nascosto che vi era già un potenziale acquirente della banca in crisi ed, infatti, i due istituti di credito non hanno attivato la procedura informativa prevista dall’art. 47 della Legge 428 del 1990 attuando, in tale maniera, una “condotta antisindacale”.

Pertanto, è sempre necessario avviare anche in tale casistica la “concertazione sindacale” permettendo, dunque, ai sindacati dei lavoratori di potersi confrontare per tempo anche con l’impresa cessionaria.

Infine, in merito all’azione da avviare per reclamare il diritto alla “concertazione sindacale” non attuata si precisa che la rivendicazione del singolo dipendente non potrà comunque incidere sulla sorte di quella proposta dai sindacati e viceversa e vale a dire che è esclusa l’efficacia riflessa del giudicato.

Finalmente una nota positiva e, vale a dire, assistiamo ad una Professionista competente che guiderà il Ministero del Lavoro! Facciamo gli auguri di buon lavoro alla Dr.ssa Calderone, stimatissima Consulente del Lavoro che fino ad oggi ha guidato l’Ordine Nazionale della propria categoria professionale.

Sono anni che il mondo delle attività produttive, in cui opera il nostro sindacato datoriale, chiede a tutta la politica di affidare il Ministero del Lavoro ad un “addetto ai lavori” e, dunque, nominare come Ministro del Lavoro un professionista competente oppure un imprenditore lungimirante oppure ancora un sindacalista d’impresa perché è necessario, oggi come in futuro, incentivare continuamente la figura dell’imprenditore e quella del professionista i quali sono gli attori principali che creano occupazione.

Dunque, bisogna tutelare il mondo produttivo oltre a dover sostenere i dipendenti con le rispettive famiglie.

Noi di FederPartiteIva non ci occupiamo della politica ma, chiaramente, è insito nelle nostre finalità sociali prestare attenzione a chi guida politicamente il nostro Paese e la nostra Nazione.

Pertanto, chiediamo alla politica tutta – e quindi anche a tutti i partiti di minoranza – di fare fronte comune per meglio arginare questa gigante crisi economica e sociale che stiamo attraversando.

Il nostro appello al nuovo Governo Italiano è il seguente: rapidità ed efficienza!

Ed, inoltre chiediamo che il nostro nuovo Governo durante tutta la propria azione politica dica sempre e comunque la verità a tutti noi del popolo italiano.