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Come sappiamo, la Circolare n° 9 del 9 ottobre 2023 emanata dal Ministero del Lavoro, di concerto con il proprio Ufficio Legislativo ed anche con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha chiarito quanto è stato approvato con la Legge n° 85 del 2023 la quale ha convertito il Decreto Lavoro del 2023 (conosciuto anche con il nome di “Decreto Calderone”) e vale a dire il Decreto Legge n° 48 del 2023.

Le novità hanno toccato sia i contratti a tempo determinato e sia la somministrazione di lavoro a tempo determinato che sono racchiuse nei seguenti ambiti:

  • la durata massima e le altre parti essenziali del contratto;
  • le “nuove causali” introdotte con la Legge n° 85 del 2023;
  • il regime delle “proroghe” e dei “rinnovi”;
  • i casi vietati;
  • la somministrazione di lavoro a tempo determinato;
  • i contratti a termine nella Pubblica Amministrazione “allargata” alle Università private e agli Enti di Ricerca privati.

1) La durata massima e le altre parti essenziali del contratto:

la Circolare sopra menzionata chiarisce che non sono state modificate le parti essenziali del contratto a termine come, ad esempio, la durata massima che rimane sempre pari a 24 mesi e il contestuale effetto della trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato.

Tale durata massima, come già previsto anche prima del Decreto Lavoro del 2023, può essere violata qualora ciò sia permesso dal C.C.N.L. applicato, purché sia in vigenza e risulti essere in attesa di rinnovo, oppure qualora venga stipulato, dinanzi l’Ispettorato del Lavoro competente territorialmente, un ulteriore contratto a tempo determinato massimo di 12 mesi e ossia come stabilito dall’art. 19, comma 3°, del D.Lgs. n° 81 del 2015.

Le altre parti essenziali, che non sono state modificate dal Decreto Lavoro del 2023, sono quelle afferenti alle “proroghe”, al “regime delle interruzioni” (stop and go), ai contratti stagionali, al diritto di precedenza, alle percentuali massime consentite in rapporto al totale dei contratti a tempo Indeterminato, al regime sanzionatorio, alle divere forme contrattuali e alla sostituzione di altri lavoratori.

In merito alle “proroghe” è possibile attivarne sempre 4 nello stesso e identico periodo di tempo pari a 24 mesi, mentre, in merito al “regime delle interruzioni” è necessario prevedere una pausa (il cosiddetto “stop and go”) di 10 giorni nei contratti inferiori ai 6 mesi oppure un intervallo di 20 giorni se si supera il semestre.

2) Le “nuove causali” introdotte con la Legge n° 85 del 2023:

il Decreto Lavoro del 2023 si differenzia dalla precedente normativa per una differente impostazione di fondo implicando che “non basta più semplicemente limitarsi ad un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente normativa”, ma, è necessario declinare adeguatamente la casistica con il caso concreto il quale si presenta per poter continuare ad utilizzare le causali introdotte, a qualsiasi livello, dalla contrattazione collettiva (C.C.N.L., Accordi Sindacali di Secondo Livello di natura aziendale e/o territoriale).

Tutto questo è indispensabile per non subire pretese legali avanzate dai lavoratori come accadde, in una cornice normativa differente, con il D.Lgs. n. 368/2001 attraverso cui fu possibile, a suo tempo e violando le causali, ricondurre il tutto a dei contratti a tempo indeterminato in quanto il Decreto Legislativo, prima menzionato, non prevedeva un limite temporale.

Infatti, in merito alla disciplina delle condizioni (comma 1° dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015), il Decreto Lavoro in questione ha eliminato i presupposti riguardanti le “esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività” e quelle afferenti alle “esigenze connesse agli incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria” perché ha preferito valorizzare la contrattazione collettiva (C.C.N.L., Accordi Sindacali di Secondo Livello di natura aziendale e/o territoriale) intesa come l’unica sede deputata ad individuare le diverse casistiche che consentono di apporre, ai contratti a tempo determinato, un termine superiore ai 12 mesi e, comunque, entro e non oltre il limite massimo dei 24 mesi.

Pertanto, spetta sempre alla contrattazione collettiva di stabilire le diverse casistiche a patto che il tutto sia stabilito dai CCNL, dagli Accordi Sindacali di Secondo Livello di natura aziendale e/o territoriale sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e/o dalle rispettive Rappresentanze Sindacali Aziendali così come è stato previsto dalla nuova lettera a) del 1° comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 81 del 2015.

Sempre in base a quest’ultimo comma, e precisamente con la nuova lettera b), le parti individuali del contratto di lavoro, e vale a dire il datore di lavoro ed il prestatore di lavoro, possono decidere nuove esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva in assenza di specifiche condizioni elencate nei CCNL e sempre se queste giustificano lo sforamento del termine dei dodici mesi. Tale possibilità, però, può essere colta dalle parti individuali del contratto di lavoro fino alla data del 30 aprile 2024 in quanto ai sindacati dei lavoratori dipenenti e ai sindacati datoriali è stato concesso un congruo periodo di tempo per poter adeguare i loro contratti con quanto è stato introdotto attraverso il Decreto Lavoro.

Infine, il Decreto Lavoro in questione permette ancora l’utilizzo delle “precedenti causali” previste dai C.C.N.L. applicati, purché siano in vigenza e risultino essere in attesa di rinnovo, e l’utilizzo delle causali introdotte con l’articolo 41-bis del Decreto Legge n. 73 del 2021 per contrastare l’emergenza sanitaria, purché sempre il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro applicato, fino alla sua vigenza, risulti essere in attesa di rinnovo.

3) Il regime delle “proroghe” e dei “rinnovi”:

in tema di regime delle “proroghe” e dei “rinnovi” la Circolare Ministeriale in questione chiarisce che nei primi 12 mesi, a decorrere dal 5 maggio 2023, possono attivarsi sia le “proroghe” e sia i “rinnovi” senza dover apporre una specifica causale.

Ci preme sottolineare

  • anche se è una banalità, che l’istituto della “proroga” ha a che fare con uno spostamento in avanti del termine, mentre, l’istituto del “rinnovo” implica la stipula di un nuovo contratto il quale inizia dopo lo scadere del precedente accordo;
  • che nella Circolare Ministeriale in questione per “contratti stipulati” ci si riferisce sia alla “proroga” e sia al “rinnovo”.

Il Decreto Lavoro ha introdotto una novità che consiste nell’azzeramento dei numeri dei contratti a tempo determinato che si possono sottoscrivere a partire dalla data del 5 maggio 2023 e, dunque, è possibile stipulare ulteriori contratti a tempo determinato senza le causali per la durata massima di 12 mesi indipendentemente dagli eventuali contratti a termine già intercorsi prima dell’entrata in vigore del Decreto Lavoro, il quale è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 4 maggio scorso.

Così facendo, per questo breve periodo, si è preferito agevolare il ricorso ai contratti a termine senza causali e, sempre rispettando la durata massima dei 24 mesi, oppure la diversa durata massima prevista dai C.C.N.L. applicati, purché siano in vigenza e risultino essere in attesa di rinnovo.

Successivamente al 5 maggio 2023 è possibile, senza causali e per ulteriori 12 mesi (24 mesi se in sommatoria con la somministrazione per lo stesso livello di inquadramento), prorogare o rinnovare quei contratti a termine, scaduti dopo tale data, la cui decorrenza si sia perfezionata prima della data del 5 maggio 2023.

Se tra la data del 5 maggio 2023 e quella del 4 luglio 2023 la parti individuali del contratto di lavoro, e vale a dire il datore di lavoro ed il prestatore di lavoro, hanno rinnovato oppure prorogato un rapporto di lavoro a tempo determinato per 6 mesi, possono attivare un ulteriore contratto di 6 mesi senza causali.

4) I casi vietati:

come sappiamo, è vietato utilizzare la forma contrattuale per i rapporti di lavoro a tempo determinato – ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. n. 81 del 2015 che se violato, anche su controlli dell’Ispettorato del Lavoro, implica l’automatica trasformazione in un contratto a tempo indeterminato – per

  • sostituire i lavoratori in sciopero;
  • assumere altro personale nelle unità produttive in cui nei 6 mesi precedenti si sono effettuati licenziamenti collettivi di lavoratori le cui mansioni sono identiche a quelle che si intendono inserire nei nuovi contratti a termine, salvo che la durata non sia superiore ai 3 mesi e salvo che si sostituiscono dipendenti “assenti”;
  • le unità produttive interessate dall’integrazione salariale e, contestualmente, da una sospensione dal lavoro oppure da una riduzione dell’orario di lavoro, in riferimento sempre ai quei lavoratori le cui mansioni sono identiche a quelle che si intendono inserire nei nuovi contratti a termine;
  • quei soggetti datoriali che non hanno adottato il D.V.R. e vale il Documento delle Valutazioni dei Rischi previsto dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

Dunque, si coglie l’occasione per ribadire che è, invece, possibile stipulare il contratto a termine per sostituire, ad esempio, un lavoratore in “distacco” (ex art. 30 del D.Lgs. n. 276/200) oppure in “trasferta”, tendendo sempre conto di non violare le norme circa i benefici di natura contributiva come nel caso della sostituzione di una “donna in maternità” che lavora all’interno di un’impresa con meno di 20 lavoratori.

5) La somministrazione di lavoro a tempo determinato:

come primo appunto c’è da precisare che la Circolare Ministeriale in questione chiarisce che resta ancora valida, per le “parti non incompatibili” con il Decreto Lavoro, l’altra propria Circolare n° 17 del 31 ottobre 2018.

La prima novità interessa il contratto di lavoro, in ogni sua tipologia,  dell’apprendistato che se attivato mediante un contratto di somministrazione non viene considerato nel limite del 20% rispetto ai lavoratori in forza a tempo indeterminato previsto dall’art. 31, comma 1°, del D.Lgs. n. 81 del 2015 che è afferente alle somministrazioni a tempo indeterminato.

La seconda novità ha a che fare con alcune categorie di lavoratori le quali non rientrano nel calcolo del limite del 20% prima esposto e che sono le seguenti: i beneficiari da almeno 6 mesi della Naspi e della Dis-Coll, i beneficiari da almeno 6 mesi di un ammortizzatore sociale ed, infine, le persone “lavoratrici svantaggiate” e quelle persone “lavoratrici molto svantaggiate” così come identificate dal Decreto Ministeriale del Ministero del Lavoro del 17 ottobre 2017.

6) I contratti a termine nella Pubblica Amministrazione “allargata” alle Università private e agli Enti di Ricerca privati:

il Decreto Lavoro del 2023 non si applica alla Pubblica Amministrazione “allargata” e, ossia, tale normativa sui contratti a termine non interessa neanche quei contratti stipulati dalle Università private, comprese le filiazioni di atenei stranieri, e dagli Enti di Ricerca privati.

Si parla, appunto, di “settore pubblico allargato” proprio per intendere queste categorie prima elencate così come è stato stabilito dall’art. 1, comma 3°, del D.L. n. 87 del 2018 e, dunque, per tali casistiche il contratto a termine – anche se attivato con la somministrazione di lavoro – può essere instaurato senza nessuna causale e per un massimo di 36 mesi.

Ogni singola impresa ed ogni singolo professionista ha la libertà di scegliere di applicare il CCNL più confacente per il proprio personale dipendente ad eccezione di tre specifiche casistiche di seguito illustrate.

Come sappiamo, il CCNL da applicare rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto, gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetta il contenuto previsto dalle norme in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa e vale a dire la Legge n. 389/1989 (che ha modificato l’articolo 1, comma 1°, del D.L. n. 338/1989) unitamente all’articolo 2, comma 25°, della Legge n. 549/1995.

Dunque, l’Ispettorato del Lavoro non può imporre un altro CCNL, tramite un provvedimento amministrativo, teso a migliorare il profilo retributivo dei lavoratori dipendenti. Si parla, infatti, della insindacabilità della scelta del datore di lavoro, che è dunque discrezionale, sia in sede amministrativa che giurisdizionale.

Tutto questo è stato ribadito dal T.A.R. della Lombardia con la Sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023 che accoglie il ricorso del datore di lavoro ispezionato.

La società cooperativa in questione, che svolge l’attività di guardia non armata e servizi affini, applicava coerentemente un CCNL specifico per i lavoratori dipendenti del comparto della vigilanza privata e dei servizi fiduciari il quale è stato sottoscritto da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.

Ebbene, l’Ispettorato del Lavoro di Como-Lecco applicava all’impresa cooperativa in questione un provvedimento di disposizione ex art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 – rifacendosi all’articolo 36 della Costituzione che sancisce una retribuzione dignitosa per i lavoratori dipendenti – tramite cui si obbligava il datore di lavoro ad adottare un diverso CCNL, precisamente uno specifico per i Multiservizi, che prevede trattamenti economici superiori con il conseguenziale obbligo di corrispondere le differenze retributive, relative agli arretrati, calcolate chiaramente in base alle tabelle del nuovo CCNL.

Al contrario degli ispettori meneghini, il T.A.R. della Lombardia con la Sentenza n. 2046 del 4 settembre 2023 annulla il provvedimento di disposizione emesso dalla sede lombarda dell’Ispettorato del Lavoro accogliendo, di conseguenza, il ricorso presentato dalla società cooperativa in questione.

Nello specifico, il T.A.R. della Lombardia si rifà esplicitamente all’artico 7, comma 4°, del D.L. n. 248/2007 che è stato convertito con la Legge n. 31/2008 il quale sancisce che il trattamento economico complessivo minimo da garantire ai lavoratori è quello stabilito dal CCNL del settore comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale in quanto – oltre ad essere ritenuto come l’unica fonte idonea ad assicurare la proporzionalità e la sufficienza della retribuzione richiesta dall’articolo 36 della Costituzione – è considerato allo stesso tempo anche come l’unico parametro di riferimento esterno con cui comparare nel complesso la parte economica e la parte normativa previste dal CCNL liberamente scelto dall’impresa in maniera tale da garantire la libertà sindacale, anch’essa tutelata dalla nostra Costituzione Italiana.

Concludendo, le motivazioni del T.A.R. della Lombardia si ritengono validissime in quanto si ricollegano alle uniche casistiche che sono state sopra evidenziate e vale a dire che il CCNL da applicare rientra nella sfera di esclusiva competenza del singolo datore di lavoro e, pertanto, gli Ispettori del Lavoro potranno imporre di applicare un diverso contratto – in sostituzione del CCNL prescelto – soltanto se vi sono clausole contrarie alla legge oppure riferibili ad un settore economico differente da quello in cui opera l’impresa oppure qualora questo non rispetta il contenuto previsto dalle norme in materia di “minima” contribuzione previdenziale ed assicurativa e vale a dire la Legge n. 389/1989 (che ha modificato l’articolo 1, comma 1°, del D.L. n. 338/1989) unitamente all’articolo 2, comma 25°, della Legge n. 549/1995.

Nel 2010 è stata istituita dalla Assemblea delle Nazioni Unite la “Giornata Mondiale dell’Imprenditore” (World Entrepreneurs Day) a cui noi del sindacato datoriale FederPartiteIva con EB01 abbiamo preferito aggiungere la figura del Professionista, in particolare quella dei Consulenti Aziendali tra cui il Consulente del Lavoro, il Commercialista ed il Tributarista i quali rappresentano i principali Collaboratori di ogni singolo imprenditore.

Dunque, noi di FederPartiteIva con EB01 auguriamo una buona “giornata degli imprenditori e dei professionisti” a tutti!!!

È questa una ricorrenza che si festeggia il 21 agosto per celebrare chi ha intenzione di mettersi in proprio e soprattutto chi ha fondato un’impresa o uno studio professionale che ogni giorno lavora senza sosta (secondo noi non è un caso che si festeggia proprio ora che si è in vacanza) per creare benessere e occupazione.

Noi di FederPartiteIva con EB01 ci impegniamo a diffondere la cultura imprenditoriale e quella professionale per riconoscere l’elevato contributo che ogni singolo imprenditore ed ogni singolo professionista apporta al nostro Paese e alla nostra Nazione.

Come di consueto riportiamo una estrema sintesi dello studio preparato da UNIONCAMERE, i cui dati si riferiscono al 2022, il quale è incentrato sulle imprese operanti in Italia:

  • sono oltre 6 milioni, come del resto anche dieci anni fa, le imprese iscritte nel Registro delle Imprese di cui 5.129.335 sono quelle attive.

In Europa la nostra Nazione risulta essere quella con più imprese nonostante fatturino mediamente meno di quelle europee;

  • la maggioranza è composta da micro-imprese (il 60% fattura meno di 100 mila euro) che operano nei comparti del commercio (25,7% delle imprese italiane) e delle costruzioni (14,9%).

In successione, troviamo il comparto dell’agricoltura con il 12,8%, il settore manufatturiero con il 9,4%, la ristorazione assieme ai servizi di alloggio con l’8,2%, il settore immobiliare con il suo 5,4% e così discorrendo;

  • il 50,8% è composto da ditte individuali contro il 30,8% delle società di capitali;
  • il 45% delle imprese è localizzato nel Nord Italia e, precisamente, il 26% nelle regioni del Nord-Ovest e il 19% in quelle del Nord-Est.

A seguire, il 20% delle imprese è situato nel Centro Italia ed il 35% nelle regioni del Sud Italia e delle isole;

  • con oltre 954.000 imprese la regione Lombardia si attesta al primo posto seguita dalla Campania con 611.000 attività produttive, dal Lazio con 609 mila, dalla Sicilia con 479 mila e dal Veneto con 472 mila;
  • le regioni con un numero inferiore di imprese sono la Basilicata con 60 mila, il Molise con 34 mila e la Valle d’Asta con 2 mila in quanto, chiaramente, vi sono meno abitanti in quelle aree geografiche;
  • in virtù della guerra in Ucraina e dell’aumento vertiginoso dei costi dell’energia si è registrato, nel terzo trimestre del 2022, soltanto un aumento di imprese pari ad appena 13.300 unità rispetto a giugno, dato tra i più bassi degli ultimi dieci anni.

 

Il giorno 8 giugno scorso il mondo delle attività produttive (imprese e professionisti) ha festeggiato il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” meglio conosciuto come il “Tax Freedom Day”.

La presente analisi è stata riportata dall’Ufficio Studi della “CGIA di Mestre (Venezia)” che dal 1995 studia ogni anno il peso della pressione fiscale.

Cosa significa nel concreto festeggiare la “Giornata di Liberazione dalle Tasse”?

Dall’8 di giugno appena trascorso significa che tutti i contribuenti italiani, e dunque anche le imprese e i professionisti, non dovranno più lavorare per pagare tutte le imposte e tutte le tasse attinenti all’anno 2022 in quanto da questa giornata in poi si lavorerà unicamente per noi stessi.

Dunque, nei restanti 207 giorni che ci separano dal 31 dicembre, appunto partendo dalla data dell’8 giugno appena trascorso, noi contribuenti italiani lavoreremo per noi stessi.

Guardando tale dato da un’altra prospettiva, è chiaro che ogni impresa ed ogni professionista ha dovuto lavorare nei primi 158 giorni di quest’anno per finire di pagare tutte le imposte e tutte le tasse riguardanti l’anno 2022.

Soltanto la Francia ed il Belgio pagano più imposte e più tasse dell’Italia.

Andando nello specifico del report dell’Ufficio Studi della “CGIA di Mestre (Venezia)” possiamo constatare che l’anno 2022 è stato l’anno in cui il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” si è verificato più in ritardo ed, infatti, la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5%.

Invece, nel 2005 il “Giorno di Liberazione dalle Tasse” è avvenuto in data 23 maggio in quanto la pressione fiscale dell’epoca si aggirava al 39%.

C’è da segnalare che la pressione fiscale del 43,5% dell’anno 2022 non è stata causato da un aumento del prelievo fiscale bensì dall’aumento dell’inflazione dovuta dall’aumento dei costi dei prodotti energetici.

Come si è giunti al calcolo della “Giornata di Liberazione dalle Tasse”?

La stima del P.I.L. nazionale di quest’anno, che è pari a 2.018.045 milioni di euro, è stata suddivisa per 365 giorni con cui si è ottenuto il dato medio giornaliero pari a 5.528,9 milioni di euro. Di seguito sono state “recuperate” le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno e sono state rapportate al P.I.L. giornaliero.

Il risultato di tale operazione ha consentito di calcolare il “Tax Freedom Day” del 2023 dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno e quindi l’8 giugno.

Sia il dato del P.I.L. nazionale e sia il dato del gettito fiscale sono stati estrapolati dal “Documento di Economia e Finanza 2023, Tabella II 2-1, Conto Economico delle Amministrazioni Pubbliche, pagina 13”.

Finalmente non saranno più configurabili come reati penali gli illeciti relativi alla indebita percezione di erogazioni pubbliche, ivi compresi quelli attinenti agli incentivi sulle assunzioni.

Ricordiamo che il Codice Penale prevede una sanzione penale della reclusione da sei mesi a tre anni qualora l’importo dell’agevolazione illecitamente goduta sia pari o superiore all’importo di euro 3.999,96 (al di sotto scatta unicamente la sanzione amministrativa a partire da euro 5.164,00 che verrà sottoposta al vaglio del Prefetto)

Dunque, vi è un sospiro di sollievo per tutte le imprese – grazie all’intervento della Sentenza del Tribunale di Treviso n° 49 del 26 gennaio 2023 – che spesso si vedono contestare a posteriori dall’INPS le applicazioni delle diverse agevolazioni inerenti le assunzioni dei lavoratori dipendenti.

Tale sentenza precisa che non vi è reato e né un illecito amministrativo ex art. 316-ter del Codice Penale (che configura addirittura la truffa nei confronti della Pubblica Amministrazione interessata) neanche qualora la contribuzione venisse in seguito recuperata in quanto si sia attestato che il datore di lavoro abbia goduto illegittimamente di un’agevolazione sulle assunzioni.

Pertanto, la contestazione formalizzata a seguito di un controllo ispettivo sul corretto utilizzo degli incentivi sulle assunzioni non necessariamente presuppone – come anche sancito dalla Sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Venezia del 5 febbraio 2020 – che vi sia un comportamento fraudolento, poiché, come ribadito dal Giudice del Tribunale di Treviso la condotta incriminabile dev’essere necessariamente di carattere doloso.

La cessione d’azienda dev’essere sempre concertata con i sindacati dei lavoratori dipendenti, anche per quanto concerne il ruolo dell’impresa concessionaria che ha l’obbligo, pertanto, di illustrati i propri obiettivi operativi e strategici almeno un mese prima che i progetti siano approvati in maniera definitiva.

C’è da precisare che tale condotta del concessionario si configura come “antisindacale” in quanto non garantisce, assieme all’impresa cedente, il confronto con i sindacati dei dipendenti almeno venticinque giorni prima dell’operazione della cessione d’azienda come previsto dalla procedura informativa prevista dall’art. 47 della Legge 428 del 1990.

E’ quanto stabilito dalla Sentenza n° 28838/2022 della Sezione Lavoro della Cassazione che condanna così l’impresa cessionaria, ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, la quale dunque non può ritenersi “terza” rispetto al rapporto tra l’impresa cedente e i lavoratori.

La vicenda processuale – oggetto della Sentenza della Cassazione prima menzionata – ha visto una banca rilevare un altro istituto bancario il quale versava nello stato della liquidazione coatta amministrativa anche se la cessione d’azienda viene tenuta nascosta, in un primo momento, ai sindacati che si trovano nella situazione iniziale di firmare un verbale di accordo in cui vengono previsti pesanti tagli, come previsto dal CCNL adottato dall’impresa cedente, nei casi di ristrutturazione con esubero di personale.

In tale frangente ai sindacati dei lavoratori dipendenti viene nascosto che vi era già un potenziale acquirente della banca in crisi ed, infatti, i due istituti di credito non hanno attivato la procedura informativa prevista dall’art. 47 della Legge 428 del 1990 attuando, in tale maniera, una “condotta antisindacale”.

Pertanto, è sempre necessario avviare anche in tale casistica la “concertazione sindacale” permettendo, dunque, ai sindacati dei lavoratori di potersi confrontare per tempo anche con l’impresa cessionaria.

Infine, in merito all’azione da avviare per reclamare il diritto alla “concertazione sindacale” non attuata si precisa che la rivendicazione del singolo dipendente non potrà comunque incidere sulla sorte di quella proposta dai sindacati e viceversa e vale a dire che è esclusa l’efficacia riflessa del giudicato.

Stando alle previsioni, il nostro Paese nel 2023 inizierà a non crescere più nonostante dal 2017 al 2021 le entrate di imposte dirette e indirette siano aumentate del 15,62%.

La pandemia prima e la guerra in Europa oggi, oltre ad un mancato aiuto adeguato da parte dello Stato Italiano, ha fatto indebitare tantissime micro e piccole imprese oltre che diverse categorie di professionisti.

Bisogna da subito invertire la rotta e noi di FederPartiteIva chiediamo a gran voce – a tutti i partiti politici in gara nelle elezioni in corso – di inserire nella agenda del Paese, come priorità principale, il sostegno forte e continuo al mondo produttivo composto per lo più da micro e piccole imprese oltre che dai professionisti.

Pace fiscale, abbassamento del cuneo fiscale sulle assunzioni, diminuzione del prelievo su imposte e tasse, semplificazione della burocrazia sono i principali ingredienti della ricetta economica più salutare per il nostro Paese.

Per iniziare è opportuno abrogare il Decreto Trasparenza, approvato di recente, che ha appesantito la burocrazia sulle assunzioni provocando tra l’altro un danno a tutto il mondo produttivo anche per l’ammontare spropositato delle sanzioni pecuniarie previste.

Ma sarebbe necessario anche, ad esempio, riproporre da subito la Legge 407/90 (abrogata con la Legge Fornero) con cui per 36 mesi – almeno per il Mezzogiorno – le imprese e i professionisti erano esentati del tutto dal versamento mensile della contribuzione previdenziale.

Identico discorso va prospettato immediatamente anche nei riguardi delle famiglie dei dipendenti che con l’inflazione al 7,3% di questo mese non riescono davvero ad arrivare a fine mese e, pertanto, necessitano anch’esse di un abbassamento cospicuo del cuneo fiscale.

Per finire, anche se è la più strategica tra tutte le azioni da intraprendere, vi è la politica industriale che oramai da tanti decenni non viene più ideata e praticata.

Dove vuole andare l’Italia? Su quali settori bisogna puntare? Abbiamo come paese una politica energetica seria di questo nome?

Se continuiamo a non costruire risposte degne a queste domande sulla politica industriale l’Italia non avrà mai una prospettiva e una speranza per i nostri giovani e sarà segnata per sempre all’oblio economico e sociale.

Prima di entrare nell’argomento è opportuno sintetizzare la situazione normativa prima dell’introduzione del Decreto Dignità nella quale, nei 14 anni precedenti al D.Lgs. n. 368/2001, si sono attuate ben 34 modifiche normative, l’ultima delle quali disponeva l’eliminazione delle causali obbligatorie in quanto erano fonte di contenzioso tra la parte prestatoriale e la parte datoriale (Legge n. 78/2014 che è stata frutto della conversione del D.Lgs. n. 34/2014). Quest’ultima modifica, come ben sappiamo, è stata abrogata nel 2018 dal Decreto Dignità il quale, in questa fase emergenziale, non rappresenta più di sé un istituto legislativo a tutela dei lavoratori dipendenti.

Proprio per fronteggiare l’emergenza sanitaria il Legislatore ha previsto, ai sensi dell’art. 93 del D.L. n. 34/2020, la possibilità fino al 31 dicembre 2021 di omettere di inserire le causali per i rinnovi e per le proroghe dei contratti a tempo determinato.

Insomma, il Legislatore ha compreso che, in generale, le causali rappresentano un ostacolo per la prosecuzione dei contratti di lavoro a tempo determinato ed, infatti, ha abrogato per i 6 mesi restanti l’obbligo di prevedere una delle causali introdotte con il Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018 convertito con la Legge n. 96/2018 con cui possiamo essere anche parzialmente d’accordo) in quanto sono troppo generiche e anche poco aderenti alle esigenze delle imprese. La causale più incomprensibile è quella contenuta dalla lettera b) del comma 1° dell’articolo 19 del medesimo Decreto Dignità la quale è basata sulle “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria” che così facendo escludono quelle esigenze aziendali dovute a incrementi di produttività che avvengono ciclicamente (periodo dei saldi estivi e dei saldi invernali, etc).

Non a caso, dall’introduzione del Decreto Dignità ad oggi, i datori di lavoro preferiscono assumere il dipendente con un contratto a tempo determinato per un massimo di 12 mesi per poi far cessare tale rapporto di lavoro reclutando, contestualmente, un “nuovo” lavoratore.

Onde evitare la conclusione di tali rapporti di lavoro a tempo determinato il Legislatore è corso al riparo introducendo – con la lettera b-bis dell’art. 41-bis della Legge n. 106/2021 – la possibilità di utilizzare le causali previste dai CCNL e dagli Accordi Sindacali di natura aziendale.

Per noi di FederPartiteIva questa “apertura” normativa nei confronti della contrattazione collettiva svolta dai sindacati rappresenta l’azione più logica e naturale perché riteniamo che soltanto in tale maniera le imprese e i dipendenti potranno instaurare dei rapporti di lavoro a tempo determinato davvero “cuciti su misura” per ogni specifica esigenza produttiva.

Dunque, dopo tre anni dall’introduzione del Decreto Dignità, è possibile assumere personale mediante contratti a tempo determinato utilizzando, oltre i primi 12 mesi, una delle causali previste dai CCNL a livello nazionale, dagli Accordi Sindacali di natura territoriale e dagli Accordi Sindacali di natura aziendale sottoscritti dalle R.S.A. (Rappresentanze Sindacali Aziendali).

Nella pratica, a livello aziendale, si potranno individuare specifiche causali per le quali sarà possibile instaurare contratti a tempo determinato.

Con quale modalità si inseriscono le causali previste dalla contrattazione collettiva e dagli accordi sindacali nei contratti di lavoro individuali al fine di limitare al minimo i contenziosi con il personale dipendente?

C’è da precisare che l’utilizzo delle diverse causali previste dalla contrattazione collettiva e dagli accordi sindacali territoriali e aziendali è attenzionato dalla Magistratura e, pertanto, è chiaro le causali dovranno rispecchiare il caso concreto e non essere frutto di un abuso. Altrimenti, è bene ricordarlo che la mancanza e/o la genericità delle causali generiche determineranno la trasformazione di tali rapporti di lavoro da tempo determinato in quelli a tempo indeterminato.

Le causali dovranno, dunque, riferirsi a “specifiche esigenze aziendali” le quali dovranno essere identificabili e  verificabili per il tramite di dati analitici ed esaustivi da riportare nel contratto e, non caso, si riprende il concetto di fondo del D.Lgs. n. 368/2001 secondo cui il datore di lavoro dovrà rendere evidente la “specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive e organizzative che l’impresa sia chiamata a realizzare e l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata e in stretto collegamento con la stessa” (Cassazione n. 22496 del 9 settembre 2019 e Cassazione n. 208/2015).

Infine, con la Nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 1363 del 14 settembre 2021, scaturita dall’interpretazione dell’art. 41-bis del Decreto Legge n. 73/2021 convertito dalla Legge n. 106/2021, è possibile rinnovare e prorogare oltre i 12 mesi quei contratti a tempo determinato vincolato dalle specifiche e verificabili esigenze aziendali anche successivamente alla data del 30 settembre 2002 che rappresenta il termine ultimo per il regime provvisorio del Decreto Sostegni Bis.

Il 25 aprile è la festa di tutti gli Italiani figli dei partigiani e figli dei sostenitori di questi che hanno combattuto il fascismo e il nazismo prima e successivamente anche tutte le altre forme di dittatura.

La nostra Repubblica è fondata su questi valori democratici condivisi da tutte le culture politiche (democristiana, socialista riformista, repubblicana e liberale) che vanno sempre difesi e coltivati perennemente.

Un ringraziamento lo rivolgiamo a
FIVL Federazione Italiana Volontari della Libertà – https://www.fivl.eu/
Federazione Italiana Associazioni Partigiane – http://www.fiapitalia.it/

Più di tutte, l’abbattimento incisivo della pressione fiscale è considerata da FederPartiteIva come la misura principale da prendere immediatamente in considerazione per salvare il nostro Paese.
Gli imprenditori e i professionisti hanno urgente necessità di ottenere un alleggerimento del carico fiscale in quanto è sotto gli occhi di tutti che, soltanto in tale maniera, avranno a disposizione una adeguata somma di denaro utile per ritornare ad investire perché sappiamo perfettamente che la banche non sono più proiettate verso le micro e piccole imprese e perché, soltanto attivando continui investimenti, che un’impresa oppure uno studio professionale può continuare a sopravvivere e allo stesso tempo pianificare futuri progetti di crescita e/o di rafforzamento economico e patrimoniale.

Una particolare nostra richiesta in tal senso riguarda l’abbassamento cospicuo del cuneo fiscale per le assunzioni delle donne che pagano il prezzo più alto del nostro sistema economico e sociale. Così facendo le imprese non saranno disincentivate a trovare una “soluzione” per licenziare donne in prossimità di gravidanze.
Ancora, per noi di FederPartiteIva sarebbe auspicabile che si abbattesse la pressione fiscale anche per le imprese neo-costituite da donne e dai giovani under 30.

Sarebbe opportuno, per queste ultime due casistiche, abbassare drasticamente le imposte previdenziali destinate all’INPS per i primi due anni e al massimo per i primi tre esercizi.
Cogliamo l’occasione noi di FederPartiteIva di riproporre a tutti i partiti politici presenti nel nostro Parlamento l’abolizione del “solve et repete” da quei processi tributari, avviati verso la controparte rappresentata dallo Stato Italiano, il quale è quel principio secondo cui un’impresa oppure un professionista oppure un singolo cittadino contribuente è obbligato prima a pagare un’imposta oppure una specifica tassa per poi procedere legalmente a richiedere un risarcimento per i danni subiti.

Ancora, sarebbe necessario sburocratizzare l’Apparato Statale rendendo possibile l’avviamento di un’attività produttiva in soli sette giorni lavorativi per il tramite di un meccanismo di silenzio-assenso e di autocertificazioni con l’intento di velocizzare i tempi delle autorizzazioni necessarie.

Infine, è chiaro che la politica si faccia carico – con l’introduzione di adeguate misure di politiche attive, di formazione continua e di prepensionamenti e con una riforma degli ammortizzatori sociali – anche della fase post-blocco dei licenziamenti che sarà operativo di certo fino al prossimo 31 marzo ad eccezione, si immagina, per il settore della ristorazione e del turismo che ha pagato e che sta ancora pagando il costo più alto.