In caso di licenziamento per riorganizzazione aziendale l’obbligo di ricollocazione si estende alla riqualificazione del dipendente

Quando un’impresa si riorganizza, vuoi per migliorare l’efficienza produttiva o vuoi per garantire la propria continuità economica e finanziaria, spesso accade che uno o più dipendenti diventino “inutilizzabili”. In questi casi ogni datore di lavoro è obbligato in primis a ricollocare tali lavoratori in altre mansioni equivalenti o inferiori ma, se ciò non è fattibile, potrà formalizzare il licenziamento per ragioni di riorganizzazione aziendale.

In gergo si dice che ogni impresa ha l’obbligo di “repêchage” che nella lingua italiana sarebbe l’obbligo di “ricollocazione” dei lavoratori in mansioni alternative per scongiurare il licenziamento.

Se tutto questo non è fattibile si potrà procedere alla soppressione delle posizioni lavorative di questi lavoratori ed, infatti, fino a poco tempo fa – e precisamente fino alla Sentenza n° 159 del 31 ottobre 2022 del Tribunale di Lecco – l’obbligo di “ricollocazione” si limitava a questo.

Con tale Sentenza invece tale obbligo si estende anche alla “riqualificazione” del dipendente il quale, pertanto, dovrà essere messo nella condizione di frequentare un percorso formativo ad hoc, messo su finanziariamente dall’impresa, in maniera tale che possa acquisire delle nuove competenze indispensabili per poter ricoprire un altro ruolo all’interno dell’organizzazione aziendale. Tale obbligo di “riqualificazione” può essere adempiuto, in alternativa al corso di formazione, mediante un apposito affiancamento ad altri colleghi.

Soltanto qualora tale corso, o affiancamento formativo, risulta impossibile per ragioni da imputare alla preparazione del dipendente oppure perché risulta davvero anti-economico, l’impresa potrà dimostrare che il licenziamento per ragioni di riorganizzazione aziendale costituisce la «extrema ratio».

Dunque, il Tribunale di Lecco che ha emanato la Sentenza in questione ha voluto rendere rigorosa la prova della “sopravvenuta inutilità del lavoratore” soprattutto qualora la riorganizzazione aziendale non sia frutto di una scelta praticata per fronteggiare una crisi aziendale.

Concludendo, con questa storica sentenza si stabilisce che l’obbligo di “ricollocazione” non potrà limitarsi a rispettare i tradizionali confini espressi dalla giurisprudenza di legittimità.

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